Sono una docente ospedaliera. Mi chiamo Daniela Di Fiore. Lavoro in corsia, nella scuola in ospedale, un’eccellenza del sistema scolastico italiano. Insegno in ospedale da 10 anni Italiano e Storia alle scuole superiori. Ma, come spesso dico, non in una scuola normale. Le mie aule sono le stanze dei reparti di Oncologia Pediatrica, Neurochirurgia, Ematologia, Neuropsichiatria del Policlinico Agostino Gemelli di Roma. Una scuola molto speciale con alunni molto speciali. La maggior parte dei miei studenti sono malati di cancro. E benché siano passati 10 anni da quando ho messo piede per la prima volta nel reparto di oncologia pediatrica del Gemelli, ancora non mi sono abituata a vedere ragazzi e ragazze senza capelli che fanno la chemioterapia. Ogni volta è un pugno allo stomaco, ma in questi 10 anni ho imparato tantissimo. Ho imparato più di quanto abbiano imparato i miei alunni da me. Forza, coraggio, altruismo, generosità. Senso della vita. Quello vero, autentico. Quello che ti fa sentire una fortunata, una privilegiata. Perché nonostante la chemio, nonostante le teste pelate, nonostante le occhiaie, nonostante il dolore e la sofferenza questi ragazzi hanno sempre qualcosa di sconvolgente da offrire. Un sorriso. La cosa che ricordo con più stupore di questi 10 anni trascorsi ad insegnare nella scuola in ospedale sono i sorrisi dei miei alunni e delle mie alunne. Studiano e sorridono nonostante tutto. Nonostante la malattia. Nonostante le terapie. Nonostante la segregazione in ospedale. Loro che dovrebbero essere a scuola, quella fatta di aule, lavagne e ricreazione. Loro che dovrebbero essere in motorino, in discoteca, al pub o al centro commerciale. Ed invece sono li. Inchiodati in un letto di ospedale e ti sorridono come per dirti “Prof non si preoccupi, è tutto ok”. Se la scuola in ospedale deve portare “normalità” ai ragazzi ospedalizzati, certo è che spesso i ragazzi vogliono essere, e spesso si sentono, normali. Quando “normali” non sono. Perché non è normale che un ragazzo si ammali di cancro. Eppure i miei studenti, anche grazie alla scuola in ospedale, trasmettono questa cosiddetta normalità. Trasmettono serenità. E ti fanno sentire a tuo agio, anche nei momenti in cui vorresti fuggire da quella stanza, da quel reparto, da quell’ospedale e tornartene anche tu a scuola, tra i banchi e le lavagne. Eppure resti qui. In trincea. A combattere insieme a loro. Perché il coraggio, la forza, l’ostinazione che trasmettono i miei alunni travalica ogni dolore. Raramente li ho sentiti lamentarsi. Sempre ottimisti e positivi. Tutti. Anche quando gli mancano le forze, anche quando si rendono conto, sanno (perché sono grandi e consapevoli) che tutto sta per finire. E poi i loro “Grazie”. Ringraziano sempre per tutto quello che fai per loro. “Grazie” è la parola che, in questi 10 anni, ho sentito di più da parte loro e delle loro famiglie. Nella scuola in ospedale il rapporto con le famiglie è fondamentale. Come pure l’empatia. Per insegnare in ospedale, oltre alla professionalità, bisogna essere empatici. Perché la scuola in ospedale è innanzitutto “relazione”. È terapeutica. È una finestra sul mondo. È speranza per il futuro, progettualità. Per questo motivo, in collaborazione con l’Associazione genitori oncologia pediatrica AGOP Onlus, ho realizzato dei progetti editoriali con la società editrice Infinito edizioni. Si tratta di quattro libri che raccontano le storie delle mie alunne e dei miei alunni. Il primo libro “Ragazzi con la bandana. La scuola come cura in ospedale” è un diario dove racconto la mia esperienza di docente ospedaliera attraverso i volti di alunne ed alunne che mi hanno accompagnato durante il mio primo anno di insegnamento al Policlinico Gemelli. Il secondo libro, dal titolo “Martina. La lotta coraggiosa di una guerriera sorridente” è nato dall’idea di una mia alunna Martina Ciliberti, che ha frequentato per circa quattro anni la scuola in ospedale. Martina, che ha anche disegnato la copertina del libro, ha voluto raccontare la sua esperienza di studentessa ricoverata in ospedale per lanciare un messaggio a tutti i suoi coetanei: lo studio è importante per costruirsi un futuro e chi va a scuola deve sentirsi fortunato. Martina studiava nonostante si sottoponesse a chemioterapia e radioterapia, nonostante avesse subito il trapianto del midollo. Nonostante avesse trascorso la sua vita di adolescente quasi interamente in ospedale. E quello che ha scritto in questo libro vale più di mille parole: “Ho conosciuto tante persone che hanno creduto in me; tra tutte c’erano i miei professori della scuola in ospedale. La scuola in ospedale è una speranza, un obiettivo a cui legarsi per sorridere e andare avanti. Non conta il luogo in cui abbiamo studiato, ma conta la voglia di studiare e la passione dell’insegnante nel proprio lavoro. La scuola in ospedale è stata per me molto importante perché anche per poche ore ritornavo ad essere una ragazza spensierata come tutte le altre”. Martina aveva il sogno di pubblicare questa sua autobiografia e ci ha lavorato fino agli ultimi giorni della sua vita. Purtroppo il libro lo abbiamo completato io e la sorella Stella, perché Martina non ce l’ha fatta e come lei, anche Federica Aufiero, una nostra studentessa della sezione ospedaliera, aveva un sogno. Quello di diventare giornalista e scrittrice. “Rue la solitaria” è il racconto scritto e pubblicato da Federica, che ha anche disegnato la copertina. È un libro che racconta la vita di due sorelle adolescenti, la scuola, le feste, gli amori, cose che Federica purtroppo non ha vissuto, ma che immaginava perfettamente nel suo letto di ospedale quando scriveva i suoi racconti tra una lezione di italiano ed una terapia. Il quarto libro si intitola “Storie di incredibile felicità” e parla dei nostri studenti della scuola in ospedale che sono guariti. I ragazzi e le ragazze hanno fortemente voluto partecipare al progetto del libro perché volevano lanciare un messaggio di speranza a tutti quelli che stanno lottando contro la malattia. C’è Sandra che disegnava anche durante la chemioterapia. Fulvia indossava sempre bandane abbinate al suo outfit. Aurora è venuta fuori dal coma accompagnata dalle canzoni di Ligabue, che ama. Giulia e Federico studiavano per la maturità, lei sognando di tornare a coltivare grano biologico nell’azienda agricola di famiglia, lui nella speranza di fare il ricercatore oncologico. Luca, tra una chemio ed un ricovero suonava la chitarra elettrica. Riccardo aspettava la nascita della sua sorellina. Vittorio aveva una preghiera per i bambini di tutto il mondo. “Storie di incredibile felicità” ha ricevuto l’elogio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha inviato delle lettere personali e molto toccanti sia a me che alle studentesse ed agli studenti protagonisti del libro.