Gentilissima Dirigente,
un profondo grazie per il valore degli interventi di tutti coloro che hanno parlato e soprattutto per le Sue parole. A volte percepiamo che le belle espressioni sono un espediente per celare il vuoto di contenuti: non così in questo caso. Ogni parola era intrisa di esperienza, "scavata nella vita" di chi quotidianamente si confronta in modo autentico con la sofferenza e la meravigliosa potenzialità che scaturisce da un'umanità in difficoltà.
Condivido con Lei una riflessione che porto dentro da quando ho iniziato a seguire più da vicino il mio alunno in difficoltà. Un po' si richiama a quello che ha detto ieri Sara, a proposito delle "etichette".
Dal di fuori siamo abituati a catalogare i problemi, quasi come fa il pronto soccorso: bianco, poca importanza, verde…. rosso è grave. Quindi un ragazzo senza una gamba è meno grave di un ragazzo senza la vista, che è meno grave di un ragazzo con un tumore osseo che non dà scampo… Ma questi giudizi sono quasi una forma di presunzione: il dato oggettivo non mi dice niente sulla gravità del dolore che quella persona si porta dentro. Intendo dire, so che sembra assurdo, che un ragazzo con patologia grave può vivere con minore sofferenza interiore rispetto ad un ragazzo con patologia lieve, perché magari il ragazzo con gravi difficoltà ha attorno a sé un ricco entourage affettivo, ha grandi risorse di resistenza, di fantasia, di volontà. Il mio alunno, visto da fuori, non ha nessun problema: ragazzo bello, bravo, intelligente, assolutamente "sano", famiglia benestante.
Ma questi giudizi sono quasi una forma di presunzione: il dato oggettivo non mi dice niente sulla gravità del dolore che quella persona si porta dentro. Intendo dire, so che sembra assurdo, che un ragazzo con patologia grave può vivere con minore sofferenza interiore rispetto ad un ragazzo con patologia lieve, perché magari il ragazzo con gravi difficoltà ha attorno a sé un ricco entourage affettivo, ha grandi risorse di resistenza, di fantasia, di volontà. Il mio alunno, visto da fuori, non ha nessun problema: ragazzo bello, bravo, intelligente, assolutamente "sano", famiglia benestante. Ma dentro di lui c'è un baratro di dolore. Non penso che potrò mai affermare di aver davvero capito il suo problema. Questo è un limite che mi fa anche paura: siccome non potrò mai capire fino in fondo il mondo di dolore dell'altro, come potrò essergli davvero di aiuto? E se facessi o dicessi qualcosa che peggiora la situazione? Io non sono medico, non sono psicologa, sono una qualunque. Eppure non voglio usare alibi. Il dolore dell'altro deve essere anche un po' mio, perché essere insegnanti significa anche farsi carico delle creature che ci vengono affidate.
"Niente di ciò che è umano ritengo a me estraneo"
La saluto così, carissima Dirigente. Non le porterò via altro tempo. Non oso nemmeno immaginare il Suo carico di lavoro. Mi auguro di avere la fortuna di sentire ancora altri webinar in cui Lei ci darà testimonianza che si può sempre sperare, anche di fronte ai grandi problemi delle persone così giovani e così in difficoltà.
Grazie anche per il bellissimo testo sulla quarantena del marinaio, di Jung. Sembra scritto per noi oggi. Io sono golosa e difficilmente riuscirò a mangiare di meno, ma dedico i pomeriggi ai webinar (cioè creo un po' di "primavera interiore"). Tantissime piattaforme li offrono gratuitamente e si tratta di lezioni molto belle e interessanti. Utilizzare tante ore per la formazione è uno strano lusso che questo periodo ci concede,
Claudia Gasperini, docente ospedaliera scuola secondaria di primo grado Stock di Trieste.